
Mi sono svegliato nel pieno della notte con nessuna intenzione di riprendere sonno, mia moglie dormiva tranquillamente e profondamente, il respiro impercettibile, l’espressione serena, e non c’era nessuna ragione per svegliarla.
Da qualche giorno avevo un pensiero che mi ronzava intorno, che stava diventando una piccola ossessione.
Era arrivato il momento di soddisfarlo! Non era più derogabile.
Mi lavai approssimativamente, mi vestii velocemente, e silenziosamente uscii di casa con passi soffici e al rallentatore. Si! Proprio come quelli di un gatto quando sta per assaltare una preda. A mia moglie, per tranquillizzarla, qualche ora dopo, avrei mandato il seguente SMS: “tutto bene, sono soltanto andato in riva al mare per vedere sorgere il sole, ne avevo bisogno.”
Stando alle previsioni meteorologiche, ormai praticamente infallibili, anche oggi la luce avrebbe trionfato. Finalmente l’estate era iniziata: la stagione aveva preso possesso dei suoi luoghi deponendovi sopra lo scudo dell’alta pressione che, ormai da giorni, ne decretava il dominio incontrastato.
Oggi, avrei visto il sole sorgere dall’orizzonte!

Cose come questa costituiscono per me un viaggio nella macchina del tempo dato che mi riportano dirette al mio tempo di ragazzino: di quando andavo a pescare all’alba.
Quaranta minuti di auto, strade completamente deserte, senza incrociare un automezzo o una persona. Parcheggiai veloce quando arrivai sul luogo, la luce diffusa si stava già sparpagliando e mi avvisava che la notte stava lentamente, ma costantemente, “evaporando” come acqua.
Ed eccomi di fronte al mare, al “Moloch d’acqua”, che sta liberando la palla di fuoco, secondo le regole riposte: adesso mi sembrava che la natura stesse replicando il quadro di un’alba sull’orizzonte marino.

E questo mare, con un nome preciso, “Adriatico”, come molti altri mari, con un nome preciso anche loro, che a guardarlo adesso, sembrerebbe completamente innocuo, tranquillo, innocente, è invece un assassino certificato, che lavora con regolarità per ottenere il suo tributo di vittime.
Se ci entri dentro e vai al largo ti attende con le correnti invisibili, con le buche improvvise, con le trappole dei relitti semi-affioranti, con l’insidia delle reti alla deriva, e ti accompagna, generosamente, con tante fastidiose meduse. E se non lo rispetti è spietato, ti prende in un attimo, e a volte ti inghiotte come un anaconda senza restituire più niente di te.
In ogni località di mare, ogni estate, per quanto si dica, si faccia, si sperimenti, qualcuno viene preso dall’acqua, per un motivo o per l’altro.

E in quel silenzio assoluto che precede il passaggio di testimone tra la tenebra e la luce mi sono ricordato di un fatto, avvenuto poco distante da qui in linea d’aria, in una spiaggia fotocopia di questa, con la stessa sabbia, la stessa acqua, lo stesso vento, lo stesso silenzio, forse lo stesso giorno, sicuramente all’alba, forse, perfino alla stessa ora.
Lei aveva sedici anni, me la ricordo bene, come se fosse ieri, un ricordo indelebile, il suo profilo era perfetto, come quello di una statua greca di splendida fattura, il suo volto ti entrava dentro e non te ne dimenticavi più. Affascinava soprattutto per il suo profilo. Non parlava mai, ma non era muta e neppure scostante o scorbutica: le parole sembrava non riuscissero a trovare la strada per uscire, comunicava con i sorrisi, sempre generosi. Era una creatura dall’animo gentile.

A volte si toglieva le scarpe e le lasciava dove capitava, camminando a piedi nudi anche al di fuori della spiaggia. E i piedi? Se li scottava, se li tagliuzzava, e di questi le piante diventavano impietosamente nere come il carbone, raccogliendo tutto ciò che trovavano lungo il loro percorso, come dei piccoli bulldozer di carne.
Improvvisamente sedeva sul marciapiedi, si raccoglieva la testa tra le mani, dondolava come se avesse delle fitte allo stomaco.

Era stata adottata quando aveva appena qualche anno di vita, ma non era neanche questa la ragione della sua diversità.
E non ho neanche mai saputo il suo nome dato che tutti, genericamente, la chiamavano con il suo cognome: “Esposito”.
Fu un giorno d’inizio d’estate, non qui ma in un frammento di mare uguale a questo, come ho detto, che si immerse. Lasciò un pugno di vestiti sulla spiaggia, appena prima della battigia, di lei non trovarono più nessuna altra traccia.

Ho visto infine sorgere il sole, i riflessi di luce si sono improvvisamente moltiplicati nell’acqua e nell’aria, e solo quando il primo essere umano ha iniziato a passeggiare lungo la spiaggia me ne sono andato via.
27 giugno 2013
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