Saranno i grandi artisti veneti a immortalare nelle loro opere i casoni che hanno rappresentato, per tanta parte della popolazione della campagna veneta, una primitiva abitazione fatta di materiali semplici e facilmente reperibili: come la canna palustre per il tetto e per i divisori interni con i graticci di arelle, la paglia, il fango e l’argilla per impastare i mattoni poi cotti al sole o nelle fornaci presenti sia in terraferma che a Venezia.
Non appena la ricerca prospettica e il naturalismo dei primi paesaggi iniziarono a comparire nelle opere degli artisti veneti, andando a sostituire il fondo oro di tradizione medioevale e bizantina, i casoni divennero una parte importante nella descrizione del territorio, anzitutto perché nella vita dei campi rappresentavano simbolicamente il primo elemento di riunione della famiglia, inoltre, i materiali che costituivano il casone erano in armonia con i colori della campagna e quindi ben si inserivano nella ricerca cromatica e atmosferica che prendeva avvio a Venezia a partire dal Quattrocento. Sarà verso il Cinquecento che gli artisti per dipingere inizieranno a utilizzare la tela al posto della tavola e i colori ad olio che permettono una maggiore luminosità e una resa più prolungata delle opere che a Venezia devono fare i conti con l’umidità e il salso.

Giovanni Bellini è stato l’artista che per primo ha inserito paesaggi realistici all’interno delle opere sacre con l’uso di una pittura dal colore atmosferico che diventerà una delle maggiori invenzioni del Quattrocento a Venezia. In quest’opera, conservata al Museo Correr, si può ammirare in lontananza una campagna placida e neutra di impressionante ampiezza e profondità, del tutto indifferente alla tragicità dell’episodio in primo piano e proprio per questo in grado di far risaltare, per contrasto, il dramma in atto.

Un’ampia vallata densa di vegetazione, dove un fiume dall’acqua placida e cristallina si snoda e si espande in un lago, caratterizza la composizione della Crocifissione di Giovanni Bellini. Nella parte sinistra del paesaggio l’artista veneziano ha collocato un casone di campagna su una collina, in una posizione sopraelevata rispetto all’ampio scenario che si affaccia verso il fondo. La configurazione dell’edificio presenta alcune caratteristiche ben leggibili rispetto alle costruzioni di quel periodo infatti, già alla fine del Quattrocento il casone rurale presenta i muri perimetrali costruiti in muratura, il tetto di canne palustri a quattro spioventi molto inclinati, la porta e i balconi di piccole dimensioni.

Nell’Incoronazione di Pesaro, compiuta da Bellini poco dopo il 1470, tutte le architetture hanno valore simbolico e la bellezza di quest’opera è legata a molti aspetti, ma anche al ripetersi della forma quadrata nei piccoli dipinti della predella e soprattutto nella spalliera del trono in cui, come fosse un quadro nel quadro, è inserito un paesaggio realistico. Ed è questa la prima volta nella storia della pittura italiana in cui in una presentazione sacra il paesaggio naturale assume una rilevanza determinante.

In questo particolare dell’opera di Pesaro, Giambellino crea una magica sospensione tra la realtà e la finzione, soprattutto perché il paesaggio raffigura un luogo effettivo, la rocca di Gradara, una imponente fortezza vicino a Pesaro che, secondo una leggenda, ha fatto da sfondo al tragico amore di Paolo e Francesca cantato da Dante nella Divina Commedia. In questo ambiente suggestivo, abbarbicato tra dolci e verdeggianti colline abitate e coltivate, spicca un gruppo di costruzioni rurali con alcuni casoni, di cui uno a pianta rettangolare, a testimoniare il lavoro e la cura dei campi che si svolgevano accanto alla potente rocca.

L’Allegoria Sacra dell’artista veneziano è ancora oggi riconosciuta come la più enigmatica e affascinate opera del Rinascimento. Il mistero di questo dipinto non è ancora stato svelato ed è, a tutt’oggi, privo di interpretazioni convincenti. Quello che colpisce immediatamente è l’inserimento di una architettura ricca di elementi mitologici e religiosi in primo piano mentre, sullo sfondo, compare un paesaggio naturale della medesima epoca in cui fu eseguita l’opera, che assume una rilevanza determinante come nella Pala di Pesaro. Anche in questo contesto così particolare la sagoma di un casone compare adiacente ad alcune costruzioni agresti.

La Madonna col Bambino benedicente di Bellini, del 1510, conservata alla Pinacoteca di Brera a Milano, è stilisticamente vicina sia alla Madonna del Prato del 1505, all’Institute of Arts di Detroit, sia alla Madonna col Bambino del 1509, alla National Gallery di Londra. Nell’opera di Brera manca una compenetrazione diretta tra le figure sacre e lo sfondo, in quanto un telo verde funge da elemento divisorio per mettere in risalto le figure in primo piano. Il paesaggio ai due lati è impostato su valori atmosferici della pittura tonale e secondo le regole della prospettiva aerea, e nella parte destra dell’opera un ampio casone isolato caratterizza lo sfondo di una campagna abitata e ben coltivata mentre si intravvedono in lontananza le montagne rese azzurrine dalla foschia.

Collezione Thyssen-Bornemisza, Lugano (Svizzera). Foto Asta Sotheby’s 27/11/1963
Rispetto alle altre costruzioni, per quanto modeste, il casone si distingue per la struttura del tetto estremamente spiovente e per gli stessi materiali naturali di cui è fatto. Nell’opera di un seguace di Bellini si nota subito in primo piano, alle spalle di San Sebastiano, un laghetto e un casone a pianta rettangolare isolato dalle altre costruzioni che caratterizzano il paesaggio collinare.

La Venere di Dresda o dormiente di Giorgione, adagiata tra le note squillanti di un drappo rosso e il biancore del lenzuolo dalla lucentezza quasi metallica, è in assoluto una delle prime raffigurazioni di nudo femminile nell’arte moderna. Sullo sfondo del dipinto si nota un villaggio veneto con la presenza di alcuni casoni inseriti tra altre costruzioni agresti con intere case coloniche, stalle, depositi per attrezzi agricoli e una costruzione merlata sullo sfondo che potrebbe essere la Rocca di Asolo. Il paese con la rocca asolana, un piccolo Cupido e probabilmente altri interventi (la ricognizione radiografica ha rivelato la presenza d’un Amorino ai piedi della dea eliminato nell’Ottocento da una ridipintura) furono eseguiti da Tiziano dopo la morte prematura di Giorgione nel 1510. Anche le bilanciate simmetrie cromatiche delle stoffe sulle quali si adagia la dea rimandano ad altre opere di Tiziano.

Il paesaggio sulla destra con casoni, case coloniche e merlature diroccate sullo sfondo, è identico a quello presente nella Venere di Dresda o Venere dormiente, e anche sulla base di tale somiglianza la critica ha stabilito che fu Tiziano Vecellio a completare il dipinto di Giorgione.

Nell’Amor sacro e amor profano di Tiziano (il titolo è seicentesco, l’interpretazione più antica era beltà ornata e beltà disadorna), compaiono due paesaggi: a sinistra, in sommità di una rupe scoscesa un compatto agglomerato difeso da un castello turrito a rappresentare il mondo cittadino e laico, e a destra un ameno e tranquillo villaggio agricolo di pianura che rimanda al mondo rurale e religioso.

Nella parte a destra del dipinto Amor sacro e amor profano di Tiziano vi è un villaggio campestre, adiacente a un laghetto, con un casone dal tetto a due soli spioventi che risalta dal resto delle altre costruzioni per la luce chiara e diretta sulla parete esterna. Nella pittura veneta del Cinquecento troviamo rappresentati anche casoni con questa soluzione costruttiva che però sono piuttosto rari, probabilmente Tiziano aveva necessità di creare una ambientazione interessante da mettere a confronto, secondo una simbologia di carattere morale, con l’altro brano paesistico a sinistra dell’opera.

Caratteristica comune agli artisti ferraresi attivi soprattutto verso la fine del Quattrocento è l’utilizzo di un particolare tipo di colore dai toni aspri, metallici e vetrosi. Inoltre la linea del disegno si irrigidisce e seguirà andamenti duri e spezzati e la predilezione per il repertorio archeologico e fantastico, presente nelle scenografie e negli sfondi. Nel dipinto di G. B. Ortolano, con i santi Marco e Francesco ai lati della Madonna, un’opera dipinta ad olio su tavola purtroppo molto rovinata soprattutto nella parte inferiore, non vi sono le caratteristiche proprie della pittura ferrarese quanto di quella veneta legata a rappresentazioni religiose inserite in contesti naturali e urbani.

In una veduta paesaggistica molto aperta e ricca di costruzioni, di colline e sentieri, tra le figure della Vergine e di san Marco si nota un casone particolare adiacente ad un borgo e a un corso d’acqua. In una falda del tetto, quando il casone non ha un portico d’ingresso, si trova una grande apertura che serve a riporre il fieno nel sottotetto e raggiungibile con una scala a pioli.

L’artista bassanese ha riprodotto nella Trinità del Duomo di Angarano vari casoni e, in uno di questi in primo piano, si vedono chiaramente le strutture portanti del tetto attraverso il manto di copertura di canne e paglia in parte distrutto dal tempo e dall’incuria. La travatura interna che possiamo notare nel dipinto non era per nulla diversa da quella adottata fino agli inizi del Novecento quando si costruirono gli ultimi casoni, ed era basata su grosse travi negli angoli e una intelaiatura di pali in direzione della pendenza delle falde e poi parallelamente alla linea di gronda, questa trama costituiva l’orditura vera e propria del tetto su cui si inserivano poi i mannelli intrecciati di canne palustri, di saggina o di steli dissecati di granturco e paglia.

Venezia ritrova nella pittura, ma non nelle altre arti, quella fama che aveva avuto due secoli addietro; il Settecento veneziano è dominato dalle grandi figure del Piazzetta, dei Tiepolo, del Canaletto, del Bellotto, dei Guardi, del Longhi, di Francesco Zuccarelli e Giuseppe Zais. La pittura veneziana del Settecento, inoltre, mette in particolare risalto la capacità tecnica, il «virtuosismo», poiché, avendo diminuito l’importanza dei suoi contenuti ha, come reazione, accentuato la ricerca dell’effetto formale, come Rosalba Carriera, che nei suoi famosi ritratti al pastello conquista un posto particolare nella storia del rococò internazionale. Del tutto diversi saranno invece i contenuti della ricerca artistica degli altri grandi artisti veneziani dell’epoca, a partire dal Piazzetta. A Marco Ricci si deve l’avvio della pittura di paesaggio nell’arte veneta del Settecento; la sua concezione naturalistica è pervasa da un sentimento di indefinibile melanconia, che lo avvicina per certi aspetti a quello che sarà il gusto preromantico. Nell’opera di Ricci il casone diventa ormai una capanna di paglia, a ricordare un’epoca passata come le colonne di ordine ionico di un tempio in rovina.

“Delle Delizie del Fiume Brenta espresse ne’ palazzi e casini situati sopra le sue sponde dalla sboccatura nella laguna di Venezia fino alla città di Padova disegnate ed incise da Gianfrancesco Costa architetto e pittore veneziano. Tomo Primo, MDCCL, Tomo Secondo MDCCLVI (1750-1756).” Una stampa dei volumi è conservata al British Museum di Londra: “A very fine copy of the first edition in perfect condition. There were later editions published after Costa’s death by Albrizzi and Zatta.”
I capolavori dei grandi maestri vennero ripresi da esperti incisori che inserirono nella loro produzione anche paesaggi campestri e scorci urbani di città. Tornarono nei disegni le immagini dei casoni, al Museo Correr di Venezia sono conservate parecchie stampe di artisti come Ricci, Volpato, Zuccarelli, Bortoluzzi, Zocchi e di Gianfrancesco Costa (Venezia 1711-1772) che riportò in acquaforte una serie di vedute estremamente precise e dettagliate delle costruzioni lungo il Brenta.

Nei dipinti di Ciardi e Cesare Laurenti (Mesola 1854-Venezia 1936), conservati al Museo di Arte Moderna di Ca’ Pesaro, ritornano le immagini della campagna veneta con i casoni spesso accostati a casette rurali a due piani e il tetto ricoperto da tegole. Nell’opera di Ciardi si nota l’unione tra la casa di mattoni e il casone di campagna con il tetto di paglia. Siamo verso la fine dell’Ottocento e le esigenze delle famiglie contadine sono mutate e il casone diventa un deposito per gli attrezzi e una stalla per gli animali.
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